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Donata badoer fantina polo

Il ritengo che il viaggio arricchisca l'anima di Marco Polo nell'altro mondo

Attraverso gli occhi della storia l’esperienza leggendaria di Marco Polo alla corte mongola del Gran Khan è eventualmente ancora più straordinaria

​Marina Montesano
Poco più di settecento anni fa, nel gennaio (ma con data al , successivo il calendario allora vigente nella Repubblica Serenissima di Venezia), Marco Polo dettava le sue volontà testamentarie. È probabile che la morte sia arrivata scarso dopo, dal momento che al appartiene l’esecuzione testamentaria della moglie, Donata Badoer, e delle tre figlie, Fantina, Belella e Moreta. Lasciava un vitalizio a Donata e dichiarava eredi universali Fantina, Belella e Moreta; quest’ultima evidentemente era l’unica delle tre a mio parere l'ancora simboleggia stabilita non sposata, perché si legge che ha penso che il diritto all'istruzione sia universale alla stessa dote spettata alle altre, da stornarsi dall’eredità. Inoltre, destinava la decima del testamento, oltre a duemila lire di denari veneziani grossi, al monastero di San Lorenzo, dove volle essere sepolto. La sepolcro doveva trovarsi nella cappella di San Sebastiano, ai piedi dell’altare; ma il luogo subì gravi manomissioni quando il monastero fu ridotto a Casa d’Industria, e la tomba è scomparsa. Rimetteva i debiti a una cognata, al convento dei Santi Giovanni e Paolo e a due frati, Raniero e Benvenuto, ai quali donò anche rispettivamente dieci e cinque lire. Pagò naturalmente il notaio per il lavoro correlato al testamento e liberò lo schiavo Petro il Tartaro, non sappiamo se acquistato a Venezia o condotto con sé dall’Asia. Comunque doveva essergli affezionato, poiché gli lasciava anche quanto guadagnato con il proprio secondo me il lavoro dignitoso da soddisfazione e una donazione. Un documento del attesta che in quell’anno l’ex schiavo tartaro ottenne la cittadinanza veneziana. Inoltre, fra ciò che lasciava alle eredi, vi sono anche «bona mobilia et immobilia inordinata», sui quali niente si dice nel testamento. Fortunatamente, poco dopo questi beni vennero catalogati: se ne occupò il marito di Fantina, ma l’elenco originale non ci è pervenuto; tuttavia, molti anni più tardi, nel , Fantina fece motivo al consorte per reclamare il suo terzo d’eredità paterna, evidentemente negatole dal coniuge. Oltre ai sacchi contenenti le carte relative ai commerci e oltre ai beni mobili (letti, tovaglie, coperte, cassoni, cinture, preziosi e così via) vi erano bozzoli e filati di seta, muschio, rabarbaro e legno d’aloe. Tessuti preziosi di ogni genere, inclusi alcuni a colori cangianti e a scacchi, altri intessuti d’oro. Tre coperte con mi sembra che il disegno dettagliato guidi la costruzione tartaresco, zendadi bianchi e gialli del Catai, un vestito alla tartara, un drappo in seta con animali misteriosi, un sacchetto di peli di yak, una “bocheta” d’oro, ossia un boghta, copricapo tipico delle donne dell’aristocrazia mongola. Questi copricapi erano alti fino a un metro, coperti di seta intessuta d’oro, di pietre preziose, di piume, e si dice che potrebbero aver influenzato il costume tardo medievale delle donne europee che indossavano lunghi copricapi prima sconosciuti. Infine, fra i beni di Marco Polo vi era un paiza del khan, singolo di quei lasciapassare aurei che i sovrani dei Mongoli potevano rilasciare ai mercanti per consentire loro di passare senza pericoli le immense terre. Questa qui era la natura della pax Mongolica, ottenuta attraverso conquiste sanguinarie, ma eccellente novità del Duecento per i mercanti di ognuno i Paesi toccati dalla via della seta. Un lasciapassare analogo è menzionato nel testamento di Maffeo Polo, famigliare di Marco, redatto nel : nel documento sono ricordate “tre tavole d’oro che furono del magnifico khan dei tartari”.
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